
Delfi, Tempio di Apollo
Verità e nascondimenti nell’ombelico del mondo.
ὁ ἄναξ, οὗ τὸ μαντεῖόν ἐστι τὸ ἐν Δελφοῖς,
οὔτε λέγει οὔτε κρύπτει, ἀλλὰ σημαίνει.
Il signore, cui appartiene quell’oracolo che sta a Delfi,
non dice né nasconde, ma accenna.
E’ un frammento di Eraclito – il 14 [A1] – nella traduzione e ordinamento di Giorgio Colli (corrispondente al 22B93 Diels-Kranz).
Siamo nell’agosto del 1983. Un viaggio un Grecia, durato tutto il mese, iniziato il 2 agosto: il primo in Grecia di Frascà, che pure aveva viaggiato molto in Europa.
Un itinerario, tracciato per linea su più fogli bianchi di un quaderno ad anelli, indica alcune delle tappe: in automobile, da Roma a Brindisi e poi imbarco per (così come scritto) “HITAKA” poi “KEFALONI” e infine “ΠATPA”; poi verso ΑθINAI.
Tra Patrasso e Atene, in corrispondenza di una lunga curva, è segnata KPHNE, con l’appunto (con sottile ‘tratto pen’ verde): “s’inkrina la trascrizione, si trasforma in comunicazione”.
Frascà allude alla Fontana (κρήνη) di Pirene, nell’acropoli di Corinto, città in cui oggi piega la discesa da Patrasso per risalire, attraverso il canale, costa-costa, verso Atene.
Fontana, o meglio, sorgente, nella sua parte inferiore, che il Mito dice fosse, tra l’altro, meta dei poeti, per trarre ispirazione.
E all’acqua è legato il Tempio di Apollo, a Delfi, ove siamo, alle fonti Castalia e Cassotis.
I pellegrini, prima di intraprendere la via Sacra per il santuario, e quindi entrare nel τέμενος, si purificavano con l’acqua della Castalia, così come i sacerdoti, prima di assistere agli oracoli della Pizia, nell’ἄδυτον del tempio; e la Pizia stessa, prima di entarvi. E ancora, prima di sedere sul tripode, beveva l’acqua della corrente Cassotis, e masticava foglie di alloro.
Frascà è appoggiato in diagonale ad una delle residue colonne in poros che reggevano il fronte orientale del Tempio, ove concludeva la via Sacra.
Emergenze, queste, di ciò che era stato attraversato da incendi, ricostruzioni antiche, saccheggi, terremoti, smottamenti; poi gli inabissamenti fino agli scavi ottecenteschi e le ricostruzioni del Novecento.
Eppure, la percezione così completamente diversa e piena di vuoti di oggi, non toglie (e forse, paradossalmente, aggiunge) emozione alla sacralità del luogo e al suo ergersi sul clivio di una delle due rocce Fedriadi che si innalzano poi vertiginosamente.
E furono due aquile, lanciate da Zeus dalle estremità occidentali e orientali, che si sarebbero incontrate lì, nel luogo che sarà ὀμφαλός del mondo, rappresentato (rappreso) in forma ovale e tenuto vicino alla Pizia nel ristretto spazio in cui il dio, presente, le parla, attraversandola (con copia ellenistica o romana ora nel Museo archeologico di Delfi, ma priva delle aquile d’oro soprastanti): microcosmo dell’umano e macrocosmo del mondo.
Potremmo dire che Frascà ausculti il tempio: perché sappiamo che l’architettura ha suono, nella risonanza degli spazi così vasti in cui emerge; così come potremmo dire che ne possa cercare e percepirne il profumo, perché gli spazi architettonici hanno profumo (e μάννα – la manna o polvere di incenso – è quello che l’Inno orfico dedicato ad Apollo vi associa).
Potremmo dire che cerchi o intraveda qualcosa, attraverso un possibile pertugio o una feritoia o una screziatura tra le parti sovrapposte di colonna superstiti.
Ancora Eraclito:
Φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ
Nascimento ama nascondersi (fr. 14 [A92] Colli – 22B123 DK).
E qui, il luogo e la parola attesa della Pizia – che Profeti sapranno poi riportare – qui si incontrano umano e divino.
Dove il divino (Apollo) è ἑκάεργος, lungisaettante, che colpisce di lontano e Λοξίας obliquo, ambiguo; ma anche φοῖβος, puro, splendente e ἀκέστωρ guaritore.
Ha scritto Colli: “La forma dell’enigma vuole invece «accennare» a un salto, a un’incolmabile disparità di natura tra ciò che appartiene al dio, radice del passato e del futuro, e la vita propria dell’uomo con le sue figure, i suoi colori e le sue parole. L’ambiguità di Apollo esprime lo scarto, l’incomparabilità tra dio e uomo. L’enigma grava sull’uomo, gli impone un rischio mortale (il dardo di Apollo!).
… il dio, che con l’enigma richiama a sé l’uomo, gli suggerisce la frattura radicale del mondo, la via per superare l’apparenza.”
E allora: il cammino interiore di Frascà, il suo percorso artistico, il suo tragitto di conoscenza, la sua esperienza di docente (e quindi di comunicatore) non poteva non incontrare il Mito: nella ricchezza e nello scintillio delle sue parole, delle storie, dei portati di conoscenza, delle pratiche e forme rituali, collettive e individuali, delle immagini, che come onde hanno precorso i secoli e qui e là si sono rovesciate e la cui spuma giunge fino alle rive nostre.
Frascà incontra il Mito espressamente nei Narcisi, nelle Orfeizzazioni, nei Labirinti (ma anche nelle Feritoie, così come negli Specchi).
Potremmo però dire che incontri il Mito ogni qual volta si misuri con la dismisura dell’Ambiguità, ambivalenza, polivalenza; ma anche ogni volta in cui – per dirla con Eraclito – sondi la nascita attraverso il nascondimento: la nascita e il senso del proprio segno, in ciò che quel segno nasconde, per applicare questa capacità di esser sonar del proprio fondale a sondare i maestri grandi, da Tiziano a Duchamp, ed in particolare Cézanne, l’amato Cézanne.
Potremmo dire che incontri il Mito quando affronti ciò che attiene al Simbolo, così come quando, nella sua ricerca, abbia trovato il punto che trami lo slittante com/contra porsi tra Cosmo e Caos, tra caso e ordine, regola e trasgressione.
In quest’altra foto, lo scarto, l’aperto, il salto, ciò verso cui il Tempio lancia.
Si osservi, nella colonna a sinistra, quella piantina che ha fatto dimora nella dimora del dio, che è uscita e si è protesa all’aria: ha accettato il rischio.
E’ un corpo estraneo? Nulla è estraneo all’arte.
Ma qui artificio (lavoro umano, la pietra, estratta dalla cava, condotta in situ, lavorata) e natura (la piantina, che è ridotta immagine dei margini delle rupi e poi giù della valle Crisia sottostante) sono lì a dirci quanto l’uno sia fatalmente legato all’altra.
Alla fine dell’Inno omerico ad Apollo, il dio dice: “Ti è stata rivelata ogni cosa: tu ricorda tutto nel tuo cuore”.
E il compilatore dell’Inno così chiude:
“E così salute a te, figlio di Zeus e di Leto;
e io canterò te, e anche un’altra canzone”.
Diramazioni, in itinere
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