Viaggi, riprese, documentari, tra Amalfi e Bagdhad (1956-1994)
Mi trovo a lavorare sui tempi presenti a strati; parallelismi temporali ineguali quel tanto che il presente non è uguale al presente successivo. Senza prospettive né avanti né indietro: così nasce una stratificazione. Quando è satura si ricomincia ad agire su un’altra idea formale
N. Frascà
Il lavoro di digitalizzazione del centinaio di bobine girate e non montate da Frascà ha permesso di datare le sue prime immagini in movimento all’estate del 1956, ad Amalfi e Ravello; nel ’59, in uno dei suoi primi viaggi all’estero, riprende a Barcellona una corrida (oggetto di suoi studi e dipinti della metà degli anni ’50). Da Madrid riporterà alcuni schizzi dai dipinti di Goya, già nella Quinta del Sordo, presi dal vero al Prado.
A Monaco, nel 1965, la camera segue e si sposta continuamente sulle linee tracciate dai passanti, riprese dall’alto; simile movimento riprende a Londra nel ‘67, e, allo Speaker’s corner, si concentra poi sui volti degli ascoltatori e sulle espressioni degli ispirati oratori.
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Monaco (1965)
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Londra (1967)
A Londra, Luchino Visconti è ritratto in una pausa della lavorazione della Traviata, con l’attore Helmut Berger e Vera Marzot, la costumista della rivoluzionaria versione presentata all’Opera House. Nel 1968, con il regista Nelo Risi, in Svizzera per i sopralluoghi e le riprese di alcune scene del film Diario di una schizofrenica, di cui Frascà è aiuto regista, si porta sotto lo scoscio delle cascate del Reno a Schaffhausen.
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Helmut Berger, Londra (1967)
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silhouette di Visconti, Londra (1967)
Altre acque, che corrono però in orizzontale, ad Ansedonia, investono nel 1969 Anatolio, la scultura dell’artista e amico Livio Marzot, che Frascà porta con un “tappeto di preghiere” in un viaggio-progetto da Milano a Roma: un viaggio simbolico e rituale percorso tra luoghi urbani, strade, colline, mari, rocce, venti. In località Sovana, nella maremma grossetana, l’occhio si posa sulle necropoli e le Vie Cave, col passo della camera che s’attarda sugli antichi pecorsi etruschi.
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cascate del Reno, Schaffhausen (1968)
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la scultura Anatolio di Livio Marzot, spiaggia di Ansedonia (1969)
Il mio eterno progetto è di affrontare il film INDOTTO (inconscio e flagrante) e non più il film DEDOTTO (conscio e didascalico)
N. Frascà
Analogamente, le immagini della casa in rovina di Louis-Ferdinand Céline a Meudon, alla periferia di Parigi, nel documentario girato per la Rai nel ’68-’69 Viaggio al centro del delirio, sono riportate come reperti e lacerti della complessa interiorità dello scrittore.
Un viaggio in cui Frascà aveva ripercorso, con il critico e saggista Ugo Leonzio, tutte le tappe della vita di Céline e che termina con le immagini della moglie Lucette che danza con i suoi allievi.
Altre danze sono quelle in cui Frascà, attraverso multiple sovrapposizioni con “montaggio in macchina”, fa scorrere e rifrangere volti, paesaggi, ambienti, tra cui quello dell’editore Giulio Einaudi (nel ‘69); o quelle di immagini ‘familiari’ nella e dalla propria casa studio immersa nel verde al Labaro, alle porte di Roma (nel ’71, con la compagna Loan Vu Van e la prima figlia Xuân); o quelle del poeta Eugenio Montale che cammina, in sé immerso, in una strada di Milano.
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casa di Céline, Meudon (1968)
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Giulio Einaudi, alla casa editrice (sovrimpressioni), Torino (1969)
Di identità parlano invece alcune produzioni: in Informazione letimotiv – Lʼinformazione è ciò che conta, girato per la Olivetti nel 1968-69, uno stralunato Enzo Jannacci si muove goffamente tra le insidie del mondo dell’informazione, tra una consunta agendina cartacea e l’invadenza dei messaggi pubblicitari che lo investe, sull’ombra di una nascente industria di schede perforate e macchine calcolatrici.
In Identikit, girato in tre mesi di lavoro con 23 bambini di una scuola elementare di Follonica (1980), è l’identità di un supereroe “virtuoso” che i bambini costruiscono, dopo aver superato gli stereotipi degli allora imperanti cartoni animati giapponesi, in un percorso comune che parte dalla loro ‘carta di identità’: primo passo costruttivo e creativo per la relazione col mondo.
Dai volti e corpi dei piccolissimi seguiti nel documento-laboratorio di Follonica, in Mondrian (Lʼocchio come coscienza), girato ancora per la RAI nel 1969, Frascà riprende corpi e volti dei visitatori in una grande mostra parigina, alle prese con i dipinti del pittore olandese, nell’andamento, che sa essere anche ironico e giocoso, tra il concetto di ‘vedere’ e di ‘esser visti’.
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da Identikit (1980)
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da Mondrian (L’occhio come coscienza) (1969)
Questa dinamica, emerge in modo più puntuale nei due documentari sul Futurismo (Futurismo e Dibattito sul Futurismo), girati tra il ’68 e il ‘69, in cui la camera gradatamente si stacca dai contenuti portati dall’interlocutore (il poeta Edoardo Sanguineti, il critico teatrale Mario Verdone, i critici d’arte Maurizio Calvesi e Maurizio Fagiolo dell’Arco) e dalle immagini di repertorio, per introdursi nell’intimità dei volti, degli atteggiamenti e degli ambienti degli intervistati, lasciandosi portare tra le dita affusolate di Sanguineti, nel volto riquadrato dagli occhiali di Verdone, nei corridoi, nelle librerie, negli oggetti delle case di Calvesi e Fagiolo dell’Arco.
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Eduardo Sanguineti, in Dibattito sul Futurismo (1968-69)
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Mario Verdone, in Dibattito sul Futurismo (1968-69)
Altre indagini e altra dimensione acquisiscono le immagini girate di un viaggio collettivo con un gruppo di giovani e allievi, avventuroso e di formazione, compiuto nel 1994 in un Iraq ancora sotto l’embargo e con le ferite successive alla Guerra del Golfo del ’90-‘91.
Le immagini, girate anche da suoi allievi, si spostano dagli spazi inifiniti della traversata del deserto tra Amman e Baghdad alla strada deserta a fianco del Tigri ripresa da un hotel di Baghdad; dagli esterni delle mura con segni e tracce dell’antica Babilonia agli interni del Museo d’Arte Contemporanea di Baghdad, dove il gruppo realizza una performance ed una esposizione fotografica collettiva.