un’opera… i suoi punti di vista

            dal punto di vista dell’Opera (come in soggettiva)… :

« Mi hanno chiamato Pala d’altare. Effettivamente sono stata esposta, e prima ancora concepita, in e per una chiesa – anche se non più consacrata – ed un altare, immaginario (?).
Propriamente sono un Parallelepipedo orientato quadrato in ferro, di una misura extra-large: la base quadrata di 80 centimetri, l’ altezza di due metri e sessanta ed una distanza tra l’angolo inferiore sinistro del quadrato che fa da base e l’angolo superiore destro del quadrato in cui il parallelepipedo si orienta, è di quasi quattro metri e mezzo.
Vengo pensata, in un complesso di 3 interventi e, dalla mia posizione posso vedere alla mia destra (sul lato dove è l’autore che vi guarda, dalla foto, ma più sotto, nella porticina che porterebbe alla sacrestia) una Porta d’Oriente; avanti a me un grande Rebis da due metri e cinquanta. »

Dal 2 agosto al 5 settembre del 1976 si tiene una nostra personale di Frascà al Centro Gallignano Arte, la ex Chiesa del Santissimo Sacramento, che durante la guerra aveva subito bombardamenti e un terremoto nel’ 72, poi recuperata e utilizzata dalla comunità di Gallignano come punto focale di incontro culturale.

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la Pala d’altare, posta poi all’esterno della chiesa

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E’ questo un periodo di particolare riflessione sulla Virtualità.
Il lavoro sulle diagonali, sull’impatto nel campo del quadrato come rottura delle staticità ortogonali, l’incidenza delle dinamicità delle tessiture diagonali sulla visione, tramite il colore e le forme bi e tridimensionali, erano iniziate già dal 1963-64, prima negli Strutturali pittorici, poi nelle serie delle Gabbie scultore.

 

Avevano avuto nella scoperta della forma scultorea Rebis (dal 1967) un momento di assoluta concentrazione; poi, un ribaltamento e un nuovo posizionamento sulla forma Kubus (dal 1971/2 – riduzione al piano in forma congiunta di pianta e assonometria); poi un lancio dell’esperienza percettiva espansa all’ambiente (1974, nell’Ambiente prospettico polivalente): a Gallignano 3 saggi di tali sperimentazioni sono in evidenza.

Un Rebis matrice, di grande impatto, posto al centro del vano centrale della chiesa (a mo’ di baldacchino borrominiano-berniniano in San Pietro); una Porta d’Oriente, passaggio costituito da una strombatura costruita in uno dei passaggi laterali aperti nel vano; un Parallelepipedo orientato –  la “Pala d’altare” sorta di slittamento (anti) prospettico del Kubus. Tutti realizzati per l’occasione, in collaborazione della Comunità.

 

 In uno scritto, inedito, del giugno ‘76 Frascà afferma:

“ Il risultato di queste operazioni mi sembra che tenda ad evidenziare fattori che nel mio lavoro considero di importanza vitale: l’esame razionale e metodologico di un dato assunto e la presenza – all’interno di tale dato e della metodologia stessa – di una contraddittorietà potenziale e anche di fatto  (la presenza data dalle assenze ed il valore dei segni assenti che assumono – proprio per negazione segnica o maggiore-minore evidenziazione – il valore del loro ruolo in modo più decisivo) che lascia all’immagine quella “sospensione” quell’apparente incompletezza che dà luogo a una incertezza percettiva oscillante tra bi e tridimensione installandosi ancora una volta in quella del ‘zona del dubbio percettivo’ che è la zona privilegiata della mia ricerca.”

Il Rebis viene poi smontato e non più utilizzabile altrove, come la Porta d’Oriente.
La Pala d’altare viene lasciata alla comunità di Gallignano.
La cercammo, nel 2010, per verificarne una possibile esposizione per una mostra: la trovammo, un po’ arrugginita, ma in buona salute, presso la comunità ove era nata, intatta la sua straniante presenza.

      « So, che le mie sorelle (Pale d’altare) sono avanti a chi le osserva, perpendicolari al piano di visione.
Anch’io lo fui, anche all’esterno della chiesa, campo visivo di un rituale ampio quanto l’aperto della città stessa.

Poi, conservata e custodita forse solo quanto ha potuto esserne la mia dismisura: adagiata su un tetto, in luogo tranquillo.
Leggermente sghemba, piuttosto, al piano di visione di chi osservi.

Ma da qui, mio campo rituale sono lo scorrere delle stagioni e, notturna mia gioia assoluta, lo schermo stellare.

Sto bene. »

1976 Pala altare condizioni 2010 tetto

I destini dell’Opera d’arte sono i più disparati. Essa opera, per dirla con una formula heideggeriana, viene “gettata” nel mondo, nella profonda inconsapevolezza del proprio destino (così come è il nostro “esserci”, del resto, “nel suo abbandono al mondo”).
Prenderà i sentieri più vari, per far sosta (infine?) in una “radura” che, comunque, avrà o avrà avuto il suo senso, la sua sacralità.

Diramazioni, in itinere

… “SEGNI – NON SEGNI”: il testo del ’76